Genitori: fuori dalla porta!
Il coinvolgimento genitoriale sulla vita scolastica dei figli
Che effetto hanno sulla vita dei nostri figli il registro elettronico, la comunicazione in diretta di voti e assenze e le chat di whatsapp?
Quali sono le conseguenze del cosiddetto parent involvement, ovvero del coinvolgimento dei genitori sulla vita scolastica dei ragazzi, che il paradigma italiano richiede ormai da tempo?
L’intento di base sulla carta è nobile, generare un’alleanza che veda insegnanti e genitori collaborativi in un unico progetto: la crescita del ragazzo.
Accade però che se un genitore entra nel merito delle attività scolastiche l’insegnante si senta esautorato e se un insegnante porta riflessioni sul ragazzo ai genitori, questi ultimi si sentano accusati.
L’esito di questa co-partecipazione finisce il più delle volte per confondere responsabilità e interventi, generando una instancabile diatriba casa-scuola.
In secondo luogo partecipazione e coinvolgimento dei genitori finiscono il più delle volte per trasformarsi in controllo ed invasione, nei confronti del figlio e del ruolo dei docenti.
Ci sono due ricerche che mostrano che non sempre il parent involvement ha effetti benefici sui ragazzi, anzi. Keith Robinson e Angel L. Harris, nel 2014, rivelano che la presenza costante dei genitori nella vita degli studenti delle scuole di ogni ordine e grado non solo non è d'aiuto, bensì ha effetti negativi sulla crescita e sui risultati dei ragazzi.
La seconda di John Rosemond, 2014, riporta che nel parent involvement ci sono le risposte alla tarda emancipazione (che oggi sembrerebbe essere collocata all’età di 38 anni), agli scarsi risultati scolastici, all’instabilità psicologica, all’ansia di separazione, alla fobia della scuola e all’ansia dei risultati.
Non dovrebbero essere la libertà e l’autodeterminazione gli obiettivi di un percorso educativo?
Qualcosa non torna. E il rischio è che i benevoli intenti della scuola, creare co-partecipazione e alleanza fra genitori e figli, si trasformino in un iper-presenza del genitore.
Per crescere è necessario uno spazio sufficientemente sgombro in cui muoversi, sperimentare, sbagliare, progredire e ogni tanto tornare indietro.
Questo spazio oggi è limitato.
C’è l’occhio vigile e preoccupato dei genitori, veicolato dall’applicazione dello smartphone che localizza la posizione del figlio, c’è l’ansia che prenda buoni voti, il controllo del profilo di Facebook, che sia bravo nel suo sport preferito e così via.
C’ è una difficoltà da parte dei genitori a lasciare che il figlio impari ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni. “Se non sto col dito puntato non fa i compiti”. Talvolta è lo stesso genitori a farli al posto del figlio, per evitare la “brutta figura”: conta di più arrivare a scuola coi compiti fatti, che l’apprendimento del figlio.
Ci sono genitori che si sentono rimproverati dagli insegnanti. Come se i brutti voti o le note di condotta del figlio si incastonassero come un marchio negativo sulla loro pelle. Come se i figli fossero prolungamenti dei genitori. In pratica, come se non ci fosse una separazione.
Crescere significa separarsi. Ogni atto di crescita implica una separazione. Forse oggi più che mai separarsi risulta un passo difficile.
Per i genitori in primis, di conseguenza per i figli. Bisogna prenderne atto senza giudizio, per poter trovare una distanza possibile e tollerabile da loro.
Se vogliamo il loro bene, aiutiamoli ad emanciparsi. Emanciparsi, come indica il termine stesso significa “liberare dalla patria potestas”.
Aiutiamoli a separarsi: non aspettiamo che sia la nostra morte a fargli vivere per la prima volta l’esperienza della separazione, quella reale.
Mi piace su questo tema richiamare le parole di Gibran sui figli.
“…e una donna che aveva al seno un bambino disse: parlaci dei figli. Ed egli rispose:
I vostri figli non sono figli vostri...
sono i figli e le figlie della forza stessa della Vita.
Nascono per mezzo di voi, ma non da voi.
Dimorano con voi, tuttavia non vi appartengono.
Potete dar loro il vostro amore, ma non le vostre idee.
Potete dare una casa al loro corpo, ma non alla loro anima, perché la loro anima abita la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni.
Potete sforzarvi di tenere il loro passo, ma non pretendere di renderli simili a voi, perché la vita non torna indietro, né può fermarsi a ieri.
Voi siete l'arco dal quale, come frecce vive, i vostri figli sono lanciati in avanti.
L'Arciere mira al bersaglio sul sentiero dell'infinito e vi tiene tesi con tutto il suo vigore affinché le sue frecce possano andare veloci e lontane.
Lasciatevi tendere con gioia nelle mani dell'Arciere, poiché egli ama in egual misura e le frecce che volano e l'arco che rimane saldo.
Kahlil Gibran