E’ noto come la violenza possa manifestarsi con modalità diverse e come le sue espressioni si adattino ai tempi. Oggi è il tempo del virtuale. Ci sono il sesso virtuale, l’amicizia virtuale e l’amore virtuale. Allo stesso modo però ci sono l’odio, l’abuso, la violenza. Sempre virtuali e non per questo meno dannosi.
E così, il cyberbullo è il nuovo bullo e il suo essere cyber lo rende ancora più bullo. Perché insiste e incalza torturando la sua preda di giorno, di notte e in ogni istante e luogo in cui essa sia connessa.
Allo stesso modo c’è il nuovo omofobo. Egli non si limita a gridare il suo disprezzo, ma oggi lo diffonde, lo scrive e lo condivide. Si aggrega come è sempre accaduto, anche ai tempi in cui la rete non esisteva. Picchia e umilia, come è sempre accaduto, ma questa volta si fa regista delle immagini, documentandole e diffondendole affinché possano essere viste, condivise e magari anche apprezzate.
E così il pedofilo, è il nuovo pedofilo che ruba scatti districandosi tra i siti, in silenzio, senza un volto o nascondendosi dietro ad identità virtuali di altre persone.
Oggi la violenza è nelle mani di chi la compie, ma anche negli occhi di chi la osserva.
Con queste nuove cyber-forme la rete inizia a mostrare anche l’altra faccia. La faccia che si allontana dall’ottimismo, dal progresso e dalle potenzialità delle nuove tecnologie, svelando invece i suoi lati più oscuri.
Dunque, la rete come contenitore di violenza condivisa. Pestaggi a morte e abusi sessuali che diventano oggetto voyeuristico e di divertimento delle serate alcoliche di gruppi di adolescenti. La rete come strumento di svendita del corpo che vede ragazzine far soldi facili e prostituirsi a uomini virtuali. E la rete come occasione di rovina che risucchia e prosciuga, salute psichica, soldi e talvolta interi patrimoni attraverso il videopoker.
Però, sia chiaro, solo di nuove forme in fondo si tratta. Non c’è nulla di inedito, non è la rete a far l’uomo violento, ma è l’uomo stesso a costruirne le maglie.
E se la maggior parte dei problemi della vita reale continua ad essere presente sul web, è soprattutto perché queste problematiche sono presenti nella nostra mente.
Internet può quindi rappresentare una versione amplificata, ma non dissimile, rispetto a quanto accade nella vitaoffline.
Ci sono tuttavia tre caratteristiche della rete che incidono in maniera significativa su queste nuove forme di cyberviolenza.
La prima è la facilità con cui si accede, attraverso internet, a contenuti di ogni tipologia e natura. Sul web l’accesso ad immagini violente è facile per colui che ne va alla ricerca ed è altrettanto semplice per colui che ha piacere a diffonderle.
Facile e veloce. Fra un impulso e un click passano solo pochi centesimi di secondo e quest’assenza di tempo non permette alle azioni di passare attraverso alcuna forma di pensiero o riflessione. L’accesso alla violenza è quindi rapido in entrambe le direzioni, che il soggetto ne sia il protagonista o lo spettatore.
In secondo luogo la rete ha pochi limiti ed è scarsamente regolamentata. In assenza di limiti gli individui possono sentirsi più disinibiti. Quando le azioni (o parole) diffuse in rete hanno poca probabilità di subire delle conseguenze, c’è il rischio che anche il soggetto più timido e inibito, si lanci in comportamenti insoliti persino ai propri occhi.
Così facendo, quindi, il web invita alla disinibizione e facilita i comportamenti violenti o devianti che, come detto, non sono certo figli di questo secolo.
Infine, c’è una terza componente. Quando per ragioni professionali parlo con genitori preoccupati perché sono all’oscuro di come i figli trascorrono il tempo in rete, non posso far altro che comprenderli.
Difatti, nella maggior parte dei casi di suicidio giovanile legati al cyberbullismo, i genitori non conoscevano le umiliazioni subite dal figlio, ciò vale anche per i genitori di coloro che le infliggevano.
Quindi, ecco il terzo fattore: la rete aiuta il sintomo (in questo caso la violenza, agìta, subita o assistita) a divenire “invisibile”. Faticosamente i segnali di disagio di un ragazzo possono essere visti se manifestati ed espressi prevalentemente in rete, un luogo non luogo, a cui i familiari spesso rimangono estranei.
Diversamente, un tempo, in assenza della rete erano molte di più le occasioni in cui i sintomi potevano manifestarsi ed essere colti dalle figure di riferimento.
Il figlio, sempre più rinchiuso nel mondo del web che diventa luogo privilegiato dei suoi agìti, è un soggetto sempre più irraggiungibile. È in preda ad un disagio caratterizzato da manifestazioni e sintomi a cui il genitore spesso non accede.
Quando si parla di violenza in rete bisogna perciò tener conto di diversi nuovi fattori: di un suffisso, cyber, che facciamo precedere a quei comportamenti che si discostano soltanto formalmente da quelli assunti nella vita offline; dei rischi legati alla conformazione della rete, come la mancanza di limiti e regole e la rapidità con cui un click consente di passare dall’impulso all’atto; e infine della difficoltà da parte delle figure di riferimento (genitori, insegnanti ecc.) a conoscere e avvicinarsi ai segnali patologici provenienti dai ragazzi, perché il web non fa altro che diminuirne la visibilità, rendendoli appunto invisibili.
Un atto violento (agìto o subìto) in un contesto scolastico, in una palestra o in un gruppo prima o poi incontra gli occhi di chi ne coglie il disagio e la sofferenza. Lo stesso atto compiuto o subìto in rete difficilmente incontra lo stesso destino.